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Il primo a parlare di fototerapia fu Antonino Sciascia a un congresso svoltosi a Palermo nel 1892.[1] Nel 1893 Niels Finsen cominciò a studiare l'uso della luce solare nelle lesioni causate dal vaiolo e da altre patologie dermatologiche; per i suoi studi ricevette nel 1903 il Premio Nobel per la medicina.
Nel 1956 un'infermiera, sorella Ward, notò che tra i neonati ricoverati in patologia neonatale quelli posti vicino alle finestre e quindi esposti alla luce presentavano un ittero meno intenso e di durata inferiore rispetto agli altri[2].
La Light Therapy o "terapia della luce", nel campo della cronobiologia consiste nel somministrare luce, attraverso lampade specifiche, in un orario specifico del giorno. Questa terapia sfrutta la profonda connessione tra la retina e il nucleo soprachiasmatico (ove è situato l'orologio biologico dell'uomo) per reimpostare i ritmi circadiani[4] che sono sfasati in alcune patologie quali: la depressione stagionale e la depressione bipolare. La terapia della luce rientra nelle cronoterapie insieme alla Dark Therapy o "terapia del buio"[5], alla deprivazione di sonno (anch'essa usata come terapia antidepressiva) o l'avanzamento di fase[6].
Nello specifico, l'uomo è un sistema complesso scandito da vari ritmi biologici tarati attraverso regolatori interni (come appunto il nucleo soprachiasmatico) e regolatori esterni come l'alternarsi del giorno e della notte delle stagioni. Questa terapia vuole sfruttare la sensibilità dell'uomo ai regolatori esterni, come appunto la luce, per ridurre lo sfasamento del ritmo sonno-veglia tipico di alcune patologie.